Domande frequenti
A seguire un elenco di domande frequenti che pensiamo possano interessarvi per lo svolgimento delle vostre attività.
La cassetta di primo soccorso è obbligatoria qualora vi siano lavoratori all’interno dell’azienda. Il suo contenuto è specificato nel DM 388/2003 (allegato 1 e 2), dipende dal numero dei lavoratori e quindi dalla classificazione dell’azienda all’interno dei gruppi A B o C secondo i dettami del Decreto suddetto; ad esempio se l’Azienda ha meno di 3 lavoratori e rientra nel gruppo C (ovvero fa parte di aziende o unità produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel gruppo A) sarà sufficiente un pacchetto di medicazione il cui contenuto è riportato nell’allegato 2.
Si, gli operatori dovranno frequentare corsi di formazione generale e specifica secondo gli Accordi Stato Regioni del 21-12-2011 e il corso specifico per l’utilizzo dei DPI di III categoria anticaduta.
Si, in quanto di fatto rientrante nella definizione riportata all’art. 2 del D.lgs. n.81/2008 e s.m.i. di “lavoratore subordinato”. Quindi il datore di lavoro deve attivare tutti gli adempimenti conseguenti.
Il D.Lgs. 81/08 non solo affronta il tema della formazione, dell’informazione e dell’addestramento dei lavoratori dedicando ad esso gli articoli 36 e 37 ma pone anche attenzione alla differenza lessicale tra termini.
Con il termine formazione si intende qualcosa di più approfondito, più specifico, più penetrante di quello che si intende con il termine informazione. Si intende qualcosa che porta al risultato di modificare dei comportamenti.
Con il termine informazione ci si riferisce al ricevere una notizia, un dato.
Con il termine addestramento, infine, si indica l’acquisizione di una abilità attraverso la pratica e l’esercitazione: l’articolo 37 del D.Lgs. 81/08 recita che l’addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro.
In altre parole, mentre i momenti di formazione e informazione potrebbero avvenire anche esclusivamente in aula, l’addestramento è l’attività “sul campo”, svolta con le indicazioni e la supervisione di una persona esperta.
No, il Medico Competente non può essere il medico di famiglia a meno che lo stesso non sia anche in possesso di uno dei seguenti requisiti (art. 38 del D.Lgs. n.81/2008 e s.m.i.):
- a) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica;
- b) docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro;
- c) autorizzazione di cui all’articolo 55 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
d) specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale.
Gli obblighi di carattere generale e relativi alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, sono ripresi e meglio specificati per il lavoro notturno all’interno del D.Lgs. 66/03 e s.m.i. (“Attuazione delle Direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”).
Tale Decreto specifica innanzitutto in maniera rigorosa cosa si intende per lavoro notturno.
Infatti all’articolo 1, comma 2, lettera d) il D.Lgs.66/03 definisce come periodo notturno:
“periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino”.
Inoltre all’articolo 1, comma 2, lettera e) il D.Lgs.66/03 definisce come lavoratore notturno:
- qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale;
- qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva é considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga per almeno tre ore un lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno; il suddetto limite minimo é riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale”.
Va osservato a tale proposito che i due requisiti di cui sopra sono entrambi necessari e sufficienti a definire la figura di lavoratore notturno.
In altri termini è da considerare lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dalla contrattazione collettiva, purché comunque per almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero e indipendentemente dal numero delle giornate lavorative annue di attività del dipendente (vedi anche Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro Sentenza – 24 giugno – 30 luglio 2008, n. 20724).
L’elmetto di protezione per l’industria ha lo scopo primario di proteggere “la parte superiore della testa dell’utilizzatore contro lesioni che possono essere provocate da oggetti in caduta”.
Il copricapo antiurto per l’industria è invece destinato a ‘proteggere la testa dell’utilizzatore dalle lesioni causate da un urto della testa contro oggetti duri e immobili’.
Si ricorda che in relazione ai fattori di rischio per il capo la testa è esposta a “danni derivanti da rischi, che possono insorgere nelle applicazioni professionali, quali rischi di natura meccanica, termica, elettrica, chimica” e non è improbabile “la circostanza in cui si riscontri la contemporanea presenza di due o più rischi”.
L’articolo n. 21 del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. per le imprese famigliari parla di facoltà e non di obbligo di frequenza a corsi di primo soccorso e antincendio.
I componenti dell’impresa familiare non sono infatti obbligati a partecipare a corsi di formazione. Ovviamente l’impresa familiare non deve avere dipendenti nè essere costituita sotto forma di snc, srl o altre forme societarie.
Solo nel caso di attività al di fuori della sede aziendale, ad esempio lavori in appalto o subappalto, il committente o l’impresa affidataria può richiedere anche nel caso di imprese familiari gli attestati dell’avvenuta in/formazione per quanto riguarda il primo soccorso e antincendio.
In ogni caso ai fini della prevenzione, benché la legge indichi la facoltà e non l’obbligo, si consiglia di frequentare tali per corsi per apprendere le tecniche di base utili per affrontare le emergenze.
Si, l’accordo per la formazione delle attrezzature specifiche prevede il patentino anche se l’uso è occasionale.
Il D.Lgs. 151/2015 ha previsto l’abolizione dell’obbligo di tenuta del registro infortuni a decorrere dal novantesimo giorno successivo all’entrata in vigore del decreto stesso, entrato in vigore il 24 settembre 2015. Dunque l’abolizione è effettiva dal 23 dicembre 2015.
In ogni caso dato che il SINP (Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione di infortuni e malattie professionali) non è al momento ancora attivo, per non perdere dati utili ai fini della prevenzione si consiglia di continuare ad annotare gli eventuali infortuni su specifico registro.
Si ricorda che il SINP è stato istituito appunto dall’art. 8 del D.Lgs.n.81/2008 e s.m.i. come un importante strumento nato per fornire “dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali di tutti i soggetti coinvolti nella tutela della salute dei lavoratori”. Uno strumento che, purtroppo, rappresenta ad oggi una delle principali carenze della nostra normativa.
Il quesito proposto, relativo all’obbligo dell’aggiornamento del RLS, trova fondamento normativo nella previsione di cui al comma 6 dell’art. 37, secondo cui la formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi; ai sensi della norma citata, che costituisce diretta emanazione del generale principio in materia di adeguatezza e di efficacia della formazione in relazione ai rischi specifici connessi ad ogni attività produttiva e singola posizione lavorativa, sulla base della valutazione dei rischi effettuata dal datore di lavoro, tutte le aziende, indipendentemente dal numero di lavoratori occupati, sono tenute a ripetere la formazione suddetta al verificarsi dei presupposti sopra sottolineati.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che il suddetto obbligo di aggiornamento, salva una diversa eventuale statuizione della contrattazione collettiva in materia, sussiste anche per le aziende che occupano fino a 15 dipendenti.
Il decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 2001, n. 462 nell’art. 4 relativamente a Impianti elettrici di messa a terra e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche impone al datore di lavoro l’effettuazione di regolari manutenzioni dell’impianto, nonché a far sottoporre lo stesso a verifica periodica ogni 5 anni (Capo II art. 4). Invece per Impianti in luoghi con pericolo di esplosione, attività soggette a CPI (Certificato di Prevenzione Incendi), strutture sanitarie e attività con impiego di apparecchiature elettromedicali il controllo è biennale (Capo III art. 6).
Per l’effettuazione della verifica, il datore di lavoro si rivolge all’ASL o all’ARPA o ad eventuali organismi individuati dal Ministero delle attività produttive, sulla base di criteri stabiliti dalla normativa tecnica europea UNI CEI.
Il soggetto che ha eseguito la verifica periodica rilascia il relativo verbale al datore di lavoro che deve conservarlo ed esibirlo a richiesta degli organi di vigilanza.
L’obbligo di verifica di messa a terra spetta al datore di lavoro sul quale ricade l’onere della spesa.
No, dal momento che non è evidenziato da nessuna parte l’obbligo di seguire linee guida specifiche della regione di appartenenza.
Si ricorda che è comunque richiesto dal D.Lgs.81/2008 e s.m.i. di specificare la metodica e i criteri di valutazione impiegati così come eventuali riferimenti alle linee guida utilizzate per l’analisi.
Si riporta in seguito la definizione data dal D.Lgs.81/2008 e s.m.i. (art. 2) di «linee guida»: atti di indirizzo e coordinamento per l’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza predisposti dai ministeri, dalle regioni, dall’ISPESL e dall’INAIL e approvati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Partendo dal presupposto che l’RSPP non è destinatario di sanzioni dal D.Lgs. 81/08 e non risponde per i reati imputabili al datore di lavoro, al dirigente o al preposto, tale figura può essere coinvolta nelle indagini (e, nel caso, anche condannata) laddove si ipotizzi che l’infortunio in esame sia scaturito da una omissione o valutazione colposamente errata.
L’RSPP deve quindi poter dimostrare di aver messo a conoscenza il Datore di Lavoro dei rischi presenti nella sua azienda ed di aver suggerito un “modus operandi” per la gestione in sicurezza degli stessi.
Il Datore di Lavoro è tenuto a designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza in relazione all’articolo 18, comma 1, lettera b); essi devono essere formati, ed essere “in numero sufficiente”, oltre che disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva.
Pertanto non è specificato un numero massimo o minimo di lavoratori addetti ma si può ragionevolmente supporre che un numero sufficiente sia un numero tale da poter garantire la loro presenza durante l’intero orario di lavoro anche in caso di assenza per malattia, permessi etc.. In caso ci siano più squadre di lavoro operanti in cantieri diversi, in ogni singolo gruppo ci dovrà essere almeno un addetto al primo soccorso e antincendio.
L’art. 17 del D.Lgs. 81/08 obbliga il datore di lavoro ad effettuare la valutazione dei rischi sul lavoro con la conseguente elaborazione del documento di valutazione dei rischi (DVR) previsto dall’art. 28 dello stesso decreto. Per quanto riguarda la valutazione del rischio di fulminazione, diretta ed indiretta, questo rientra nel contesto più ampio dei rischi di natura elettrica, trattati nel Capo III del Titolo III del D.Lgs. 81/08.
La modalità per effettuare la stima del rischio di fulminazione dovuto a tutti i possibili effetti del fulmine su una struttura (ad esempio un edificio) e/o su un impianto è descritta nella norma CEI EN 62305-2 (CEI 81-10/2) e prevede una specifica procedura di calcolo. L’applicazione di tale procedura di valutazione del rischio fulminazione è complessa ed articolata, e richiede specifiche competenze sull’argomento, esperienza e professionalità.
La norma CEI EN 62305-2 (CEI 81-10/2) definisce il rischio di fulminazione tollerabile (RT) come il massimo valore di rischio che può essere tollerato per la struttura.
La valutazione del rischio fulminazione effettuata secondo la norma CEI EN 62305-2 (CEI 81-10/2) può portare a due conclusioni:
1) se il rischio fulminazione, calcolato per la specifica struttura, risulta minore del rischio tollerabile (RT), non è necessario procedere all’installazione di sistemi di protezione contro il fulmine e la struttura si definisce “auto protetta” dal rischio fulminazione;
2) se invece il rischio fulminazione totale calcolato risulta maggiore del rischio tollerabile RT, dovranno essere adottate idonee misure di protezione quali ad esempio captatori, gabbie di Faraday, scaricatori, etc.
La valutazione del rischio fulminazione è parte integrante del documento di valutazione dei rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori che il datore di lavoro deve effettuare, in accordo con le prescrizioni del D.Lgs. 81/08. Nello specifico, l’art. 80 impone al datore di lavoro di effettuare una valutazione del rischio di fulminazione diretta ed indiretta.
Ai sensi dell’art. 80 del DLgs 81/2008, Articolo 80 – Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché i lavoratori siano salvaguardati dai tutti i rischi di natura elettrica connessi all’impiego dei materiali, delle apparecchiature e degli impianti elettrici messi a loro disposizione ed, in particolare, da quelli derivanti da:
- a) contatti elettrici diretti;
- b) contatti elettrici indiretti;
- c) innesco e propagazione di incendi e di ustioni dovuti a sovratemperature pericolose, archi elettrici e radiazioni;
- d) innesco di esplosioni;
- e) fulminazione diretta ed indiretta;
- f) sovratensioni;
- g) altre condizioni di guasto ragionevolmente prevedibili.
In particolare l’art. 86 prevede che l’intero impianto elettrico sia periodicamente sottoposto a controlli “secondo le indicazioni delle norme di buona tecnica e la normativa vigente”. I controlli non sono da confondere con le verifiche di messa a terra, anch’esse obbligatorie.
Chi può effettuare i controlli
Poiché non sono ancora definiti i requisiti tecnico-professionali del soggetto che deve eseguire i controlli periodici, è ragionevole affidare tali controlli a professionisti iscritti all’albo professionale o ad imprese installatrici abilitate ai sensi del DM 37/08. In ogni caso, i controlli devono essere svolti da personale tecnicamente qualificato (le norme CEI fanno riferimento a persona esperta, competente nelle verifiche).
Quale periodicità
I controlli periodici devono essere eseguiti con le modalità e le periodicità minime indicate dalle diverse norme tecniche applicabili, in relazione alla classificazione degli ambienti e alla tipologia di impianto.
Il controllo deve sempre essere documentato: chi esegue il controllo deve effettuarne la registrazione. Il datore di lavoro deve conservare il verbale a disposizione dell’autorità di vigilanza.
È necessario quindi che sia prevista e documentata una programmazione degli interventi di controllo periodico ai sensi dell’art. 86 e che siano registrati e conservati gli interventi effettuati di controllo e manutenzione.
Il datore di lavoro può organizzare direttamente i corsi di formazione per lavoratori, preposti e dirigenti utilizzando formatori in possesso dei requisiti previsti dal Decreto Interministeriale 6/3/2013 che detta i “Criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro”.
L’Accordo Stato Regioni del 21 dicembre 2011 sulla formazione dei lavoratori infatti al punto 2 dell’Allegato A prevede che i corsi di formazione possono essere organizzati direttamente dal datore di lavoro e letteralmente:
“a) soggetto organizzatore del corso, il quale può essere anche il datore di lavoro;
- b) un responsabile del progetto formativo, il quale può essere il docente stesso”.
I docenti del corso possono essere sia il datore di lavoro sia formatori interni o esterni all’azienda, ma sempre in possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal sopra citato Decreto Interministeriale.
Chiaramente in caso di contestazione da parte dell’organo di vigilanza spetterà al Datore di lavoro stesso l’incombenza di dover dimostrare di aver organizzato il corso secondo quanto richiesto dalla Normativa.
Gli Accordi tra Stato, Regioni e Province autonome del 21/12/2011 che danno attuazione agli articoli 34 e 37 del D.Lgs 81/08 contengono i requisiti che i docenti devono possedere per poter svolgere la propria docenza nei corsi definiti dagli Accordi stessi.
In attesa della elaborazione della commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro dei criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro” vigeva un regime transitorio secondo il quale i formatore dovevano “dimostrare di possedere esperienza documentata almeno triennale di insegnamento o professionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L’esperienza professionale poteva consistere anche nello svolgimento per un triennio dei compiti di RSPP, anche con riferimento al datore di lavoro”.
Con decorrenza 18/3/2014 e cioè dodici mesi dalla data di pubblicazione in gazzetta ufficiale del Decreto Interministeriale 6/3/2013, sono entrati in vigore i nuovi requisiti del docente formatore.
Per tale decreto innanzitutto è necessario essere in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado, prerequisito non richiesto solo per i datori di lavoro che effettuino direttamente la formazione e per coloro che possano dimostrare che alla data del 18 marzo 2013 possedevano già almeno uno dei criteri previsti dal decreto.
Si considera quindi qualificato il formatore che possa dimostrare il possesso sia del prerequisito sia di uno dei 6 criteri indicati dal decreto:
1° criterio: aver effettuato almeno 90 ore di docenza negli ultimi 3 anni (come docente esterno, quindi non nella propria azienda) nell’area tematica oggetto della docenza.
2° criterio: il secondo criterio integra due sotto-criteri:
a) il possesso di uno specifico titolo di studio (laurea coerente con le materie oggetto della docenza, ovvero master, dottorati di ricerca, specializzazioni);
b) almeno un requisito tra: un percorso formativo sulla didattica, o l’abilitazione all’insegnamento, o il diploma triennale, o un master in scienze della comunicazione, oppure esperienze precedenti come docente (o per almeno 32 ore negli ultimi 3 anni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, o per almeno 40 ore negli ultimi 3 anni in qualunque materia, o per almeno 48 ore in affiancamento, sempre negli ultimi 3 anni in qualunque materia).
3° criterio: attestato di frequenza con verifica dell’apprendimento a corsi di formazione della durata di almeno 64 ore in materia di salute e sicurezza sul lavoro, più almeno 12 mesi di esperienza lavorativa o professionale con l’area tematica oggetto della docenza, il tutto integrato da almeno uno dei requisiti B di cui sopra si è detto.
4° criterio: attestato di frequenza con verifica dell’apprendimento a corsi di formazione della durata di almeno 40 ore in materia di salute e sicurezza sul lavoro, più almeno 18 mesi di esperienza lavorativa o professionale nell’area tematica oggetto della docenza, il tutto integrato da almeno uno dei requisiti B di cui sopra si è detto.
5° criterio: esperienza lavorativa o professionale almeno triennale nel campo della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, coerente con l’area tematica oggetto della docenza, integrata da almeno uno dei requisiti B di cui sopra si è detto.
6° criterio: esperienza di almeno 6 mesi nel ruolo di RSPP o 12 come ASPP (ciò limita la possibilità di fare docenza al macro-settore ATECO di riferimento), integrata da almeno uno dei requisiti B di cui sopra si è detto.
La qualificazione così ottenuta, è riconosciuta in modo permanente con riferimento alle aree tematiche per le quali il docente formatore abbia maturato il corrispondente requisito di conoscenza/esperienza. Le tre aree sono:
1) area normativa/giuridica/organizzativa;
2) area rischi tecnici/igienico-sanitaria (nel caso di rischi che interessino materie sia tecniche sia igienico-sanitarie, gli argomenti dovranno essere trattati sotto il duplice aspetto);
3) area relazioni/comunicazione.
Per mantenere la qualificazione, i formatori dovranno inoltre effettuare una aggiornamento professionale con cadenza triennale: quindi entro il 18 marzo 2017 per i formatori che risultino già qualificati oggi, e da calcolarsi a partire dalla data della qualifica per chi otterrà il titolo dopo il 18 marzo 2014.
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