L’imprenditore è gravato dall’obbligo di verificare il rispetto effettivo nelle norme antinfortunistiche ricorrendo anche a sanzioni disciplinari nei confronti dei lavoratori che non si adeguino in concreto alle disposizioni prevenzionali.
Il principio emanato dalla Corte di Cassazione in questa sentenza si riferisce alla mancata verifica da parte del datore di lavoro della idoneità dei dispositivi di protezione individuale forniti al lavoratore ma si applica in realtà a tutti i presidi antinfortunistici messi a disposizione dei lavoratori stessi. L’imprenditore, ha sostenuto in essa la suprema Corte, è gravato dall’obbligo di verificare il rispetto effettivo nelle norme antinfortunistiche ricorrendo, se del caso, anche a sanzioni disciplinari nei confronti dei lavoratori che non si adeguano in concreto alle disposizioni prevenzionali. La nozione di idoneità del dispositivi di protezione individuale di cui all’art. 18 comma 1 lettera d) del D. Lgs. n. 81/2008 implica infatti, ha precisato la Corte di Cassazione, l’esercizio di una costante verifica da parte del datore di lavoro, in collaborazione con il lavoratore, relativa allo stato di usura e di effettivo impiego degli stessi dispositivi antinfortunistici.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale, ha rideterminato le pene originariamente inflitte all’amministratore di una società agricola committente ed al datore di lavoro di una ditta appaltatrice riducendo la misura della provvisionale liquidata in favore della costituita parte civile e confermando il resto.
All’amministratore della società agricola committente era stato ascritto il reato di lesioni colpose in quanto, per colpa consistita nella violazione delle norme di cui all’art. 63 del D. Lgs n. 81/2008, aveva messo a disposizione e aveva fatto utilizzare al personale dipendente una scala metallica non conforme ai prescritti requisiti, cagionando così a un dipendente della ditta appaltatrice delle lesioni personali con malattia della durata di 111 giorni. Al datore di lavoro della ditta appaltatrice era stato addebitato, invece, di avere cagionato al dipendete le lesioni personali subite per non avere valutato i rischi da scivolamento e caduta del lavoratore stesso che utilizzava la scala per immettersi nella sala di mungitura e per non avere fornito altresì al dipendente infortunato i necessari dispositivi di protezione individuale, quali le scarpe antinfortunistiche oltre a non averlo formato circa i rischi derivanti dalle mansioni svolte.
Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati. Il datore di lavoro, da parte sua, ha sottolineato che la Corte distrettuale aveva, in realtà, soltanto presunto che le scarpe fossero prive dei requisiti richiesti dalla normativa e che in atti è risultato che al lavoratore fossero stati consegnati appositi stivali, successivamente danneggiatisi, evidenziando che lo stesso lavoratore ha riferito che, a seguito della rottura degli stivali consegnati dalla ditta, ne aveva acquistati di nuovi. Il datore di lavoro ha inoltre sostenuto di non essere tenuto ad informarsi sullo stato dei dispositivi di protezione individuale di ogni dipendente. Con riferimento, invece, alla mancanza di formazione erogata ai dipendenti, lo stesso datore di lavoro ha rilevato che la Corte di Appello ha riportato in modo inesatto il contenuto delle prove dichiarative ed ha ignorato, altresì, la deposizione di un teste che aveva riferito che un primo corso di formazione era stato effettuato. Rispetto poi alle rilevate carenze del documento di valutazione dei rischi, il datore di lavoro ha fatto presente di avere designato appositi dirigenti quali responsabili della sicurezza, che era stata incaricata una società per occuparsi della sicurezza e che l’infortunio era avvenuto nei locali di una azienda diversa dalla sua per cui l’evento era avvenuto fuori dalla sua posizione di garanzia.
Con un secondo motivo il datore di lavoro ha rilevata una erronea applicazione della legge penale, in riferimento agli artt. 40 e 41 cod. pen., con riguardo alla ritenuta riferibilità causale dell’evento lesivo alla condotta dallo stesso posta in essere. Il rischio di scivolamento, ha sostenuto infatti, era noto ai lavoratori, a prescindere dalla circostanza che lo stesso risultasse menzionato nel documento di valutazione dei rischi, ed ha fatto inoltre notare che la Corte territoriale si era limitata a rilevare che il dipendente infortunato non sarebbe scivolato, se avesse avuto le scarpe antinfortunistiche, che il lavoratore aveva reso dichiarazioni contraddittorie rispetto alla dinamica del sinistro, con riguardo ai profili di imprudenza che caratterizzano le modalità di discesa dalla scala e che comunque il datore di lavoro è esonerato da responsabilità, laddove il comportamento del dipendente presenti i caratteri della eccezionalità, rispetto al procedimento lavorativo, tali da costituire fattore eccezionale idoneo ad interrompere il nesso causale. Il ricorrente ha fatto rilevare, infine, che il lavoratore infortunato è stato l’unico dipendente al quale è occorso un sinistro nell’utilizzare la scala, evenienza questa ritenuta indicativa del suo errato comportamento per essere sceso dando le spalle alla scala.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto entrambi i ricorsi inammissibili. Con riferimento, in particolare, al ricorso del datore di lavoro ed alla consegna da questi fatta dei dispositivi di protezione individuale la suprema Corte ha fatto notare che la Corte di Appello ha chiarito che dalla documentazione acquisita agli atti non era risultata la consegna di scarpe antinfortunistiche ma, genericamente, di stivali e che, solo successivamente al sinistro, la ditta aveva messo a disposizione dei dipendenti tutta la dotazione antinfortunistica completa. La Corte di Appello ha inoltre considerato che la parte offesa ha riferito che, a seguito della rottura dei predetti stivali, lo stesso dipendente aveva provveduto a comprarsi delle scarpe ed ha del tutto legittimamente osservato che il datore di lavoro è tenuto a sostituire i presidi di protezione individuale, soggetti ad usura.
Sul punto, ha così proseguito la Sez. IV, è appena il caso di considerare che l’art. 18, comma 1, lett. d) del D. Lgs. n. 81/2008, prevede espressamente che il datore di lavoro fornisca ai lavoratori i “necessari ed idonei” dispositivi di protezione individuale, che la nozione di idoneità implica, in osservanza di un elementare canone di effettività dell’azione precauzionale, l’esercizio di una costante e doverosa verifica, da parte del datore, in collaborazione con il lavoratore, relativa allo stato di usura e di effettivo impiego degli stessi presidi antinfortunistici di cui i dipendenti siano stati dotati. Da tempo, del resto, la Corte Suprema ha chiarito che “il controllo che il datore di lavoro deve esercitare sull’operato dei dipendenti, perché non si verifichino infortuni sul lavoro, non può risolversi nella messa a disposizione dei presidi antinfortunistici e nel generico invito a servirsene; e che l’imprenditore è gravato dell’obbligo di verificare il rispetto effettivo delle norme antinfortunistiche, ricorrendo, se del caso, anche a sanzioni disciplinari nei confronti dei lavoratori che non si adeguino, in concreto, alle disposizioni prevenzionali”.
Con riguardo poi alla designazione fatta dal datore di lavoro di appositi dirigenti quali responsabili della sicurezza la Corte di Appello aveva fatto notare che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, non è risultato nel caso in esame il conferimento di alcuna delega di funzioni da parte del datore di lavoro. La mera nomina del responsabile del servizio di protezione e prevenzione, ha infatti affermato la Sez. IV, non esclude gli obblighi di vigilanza e controllo gravanti sul datore. Il responsabile del servizio di protezione ha infatti, ha così proseguito la Corte di Cassazione, una funzione di ausilio e non sostitutiva degli obblighi gravanti sul datore di lavoro nella individuazione dei fattori di rischio, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e formazione dei dipendenti.
Con riferimento quindi al comportamento non corretto del lavoratore la suprema Corte ha fatto notare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto la Corte suprema ha precisato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni e ha affermato che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità ed ha affermato altresì che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. Deve considerarsi abnorme, in definitiva, il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
La Sez. IV, infine, ha fatto osservare che il lavoratore infortunato non disponeva di vere e proprie calzature antinfortunistiche; che era sceso dando le spalle alla scala sita presso l’azienda agricola, così riducendo ulteriormente la già ridotta portata della pedata utile di ciascun gradino, che l’infortunato teneva in mano degli oggetti, al momento della discesa e che tale comportamento, se pure non prudenziale, era stato causato proprio dalle carenze formative ed informative sopra evidenziate, riferibili al datore di lavoro rispetto alle mansioni svolte dai dipendenti dell’impresa con la precisazione che si trattava di comportamenti posti in essere anche in precedenza, sia dall’infortunato che da altri dipendenti.