La vicenda
La vicenda è relativa ad un fatto accaduto il giorno 15 maggio del 2008 quando un dipendente della società XXX S.r.l. – di cui era amministratrice unica la ricorrente – quale addetto al controllo ed alla pulizia dell’impianto di trattamento dei rifiuti installato sul luogo di lavoro, per rimuovere un pezzo di metallo incastrato tra i cingoli di uno dei nastri trasportatori, infilò il braccio destro tra le parti in movimento della macchina, non munite della protezione prevista negli allegati agli artt. 71 del d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547 e 70 D.lgs.vo 9.4.2008 n. 81 per evitare il pericolo di afferramento, presa e trascinamento delle mani o del corpo degli operatori. Il suo braccio fu pertanto agganciato dal nastro trasportatore e schiacciato dagli ingranaggi, perdendo gran parte della originaria funzionalità.
Altro punto è quello della responsabilità penale per l’accaduto del direttore generale della struttura aziendale, e l’imputata ricopriva indiscussamente detta carica, che costituisce figura apicale nella quale confluisce il carico di responsabilità anche in materia di sicurezza, senza che occorra delega di sorta, essendo destinatario iure proprio dei precetti antinfortunistici in quanto soggetto garante.
Corte di Cassazione – Penale Sezione IV – Sentenza n. 40702 del 29 settembre 2016 (u. p. 3 maggio 2016).
Il commento di Rolando Dubini
Una importante sentenza che presenta in modo organico e sistematico le più aggiornate posizioni della Suprema corte sulla responsabilità del datore di lavoro, e delle figure apicali che eventualmente con lui condividono gli obblighi di tutela dell’integrità psico-fisica dei lavoratori, e la connessa posizione di garanzia, in materia di vizi palesi, evidenti delle macchine da altri prodotte.
La Corte di Cassazione in questa sentenza ha precisato che “la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude peraltro la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza (Cass., Sez. 4^, n. 26247 del 30/5/2013, Rv., 256948; in senso conforme, già, Cass. n. 1216 del 2006, Rv. 233175; n. 2630 del 2007, Rv. 236012; n. 37060 del 2008, Rv. 241020).
Nel caso di specie – come sottolineato dai giudici di merito- la mancanza dell’elemento di protezione era particolarmente evidente, e per molti versi, vistosa, tale, comunque, da non poter sfuggire, senza incorrere in grossolana negligenza”.
Dunque il datore di lavoro, ma anche le figure apicali che con lui condividono gli obblighi penalmente sanzionati, come ad esempio il direttore di produzione, devono senza indugio, costantemente e incessantemente, in prima persona e avvalendosi di altre funzioni aziendali a disposizione, vigilare sulla permanente esistenza e funzionalità di tutti gli elementi di protezione necessaria ad evitare infortuni sul lavoro.
La sentenza presenta però anche altri aspetti d’interesse, e può essere riassunta completamente nella massima che segue.
Massima
Il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite dall’operaio, allorquando abbia consentito l’utilizzo di una macchina, la quale, pur astrattamente conforme alla normativa CE, per come assemblata ed in pratica utilizzata abbia esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (cfr. Sez. 4, n. 49670 del 23/10/2014, Rv. 261175). I marchi di conformità CE limitano infatti la loro efficacia (D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, artt. 6 e 36) a rendere lecita la produzione, il commercio e la concessione in uso delle macchine che, caratterizzate dal marchio, risultano essere rispondenti ai requisiti essenziali di sicurezza previsti nelle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, “ma la dotazione di tali marchi non da ingresso ad esonero dalle norme generali del codice penale come è specificamente fatto chiaro anche dal testo del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 3, lett. b) e art. 37” (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 36889 del 22/05/2009 Rv. 244984).
La responsabilità del costruttore, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude peraltro la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza (Cass., Sez. 4^, n. 26247 del 30/5/2013, Rv., 256948; in senso conforme, già, Cass. n. 1216 del 2006, Rv. 233175; n. 2630 del 2007, Rv. 236012; n. 37060 del 2008, Rv. 241020).
Nel caso di specie la mancanza dell’elemento di protezione era particolarmente evidente, e per molti versi, vistosa, tale, comunque, da non poter sfuggire, senza incorrere in grossolana negligenza. E peraltro che ciò non fosse in concreto sfuggito nel caso di specie, emerge chiaramente ove si consideri che erano state fornite ai lavoratori espresse indicazioni su come intervenire sulla macchina in questione e sulla necessità di procedere prima al fermo della macchina stessa. È quindi evidentemente estraneo alla fattispecie in esame il caso del vizio occulto, insidioso o, comunque, non percepibile dall’agente modello.
Non può in ogni caso mettersi in dubbio, senza cadere in contraddizione insanabile, che il direttore generale di una struttura aziendale costituisce figura apicale nella quale confluisce il carico di responsabilità anche in materia di sicurezza, senza che occorra delega di sorta, essendo destinatario iure proprio dei precetti antinfortunistici in quanto soggetto garante (principio più volte affermato da questo Collegio per il direttore di stabilimento – Sez. 4A, n. 41981 del 7/2/2012, Rv. 255001; n. 19712 del 2009, Rv. 243637; n. 6277 del 2008, Rv. 238749; n. 11351 del 2006, Rv. 233656). Inoltre, costituisce principio ampiamente condiviso quello secondo il quale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di vigilanza e controllo gravanti sul datore di lavoro e sui soggetti garanti equiparati non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e di formazione dei dipendenti (Cass., Sez. 4A, n. 50605 del 5/4/2013, Rv. 258125; n. 27420 del 2008, Rv. 240886; n. 6277 del 2008, Rv. 238750; n. 47363 del 2005, Rv. 233181). Il responsabile in parola (la cui figura attualmente risulta descritta dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 33), infatti, svolge compiti di consulenza al fine d’individuare i fattori di rischio, la vantazione dei medesimi e indicare le misure di sicurezza e, a tal fine, elabora misure protettive e preventive, procedure di sicurezza, programmi formativi e informativi, partecipa alle pertinenti consultazioni, con la conseguenza che, pur potendo, a sua volta, incorrere in penale responsabilità, per avere omesso d’individuare fattori di rischio o per avere proposto procedure e accorgimenti, a loro volta rischiosi o inadeguati, non solleva dalla responsabilità propria datore di lavoro e dirigenti. Senza fondamento, infine, è la pretesa di assegnare il tragico infortunio ad un’area di esclusiva riserva del datore di lavoro, e perciò, del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione. Infatti, un conto è il contenuto dell’obbligo non delegabile della complessiva e generale valutazione dei rischi attraverso la predisposizione del documento oggi regolato dall’art. 28 del cit. T.U. ed altro conto non rendersi conto dell’intollerabile ed elettivo rischio derivante dall’adozione di procedura operativa inadeguata e dalla mancanza d’adozione dei necessari presidi.
In ogni caso, “non par dubbio che la prevedibilità altro non significa che porsi il problema delle conseguenze di una condotta commissiva od omissiva avendo presente il cosiddetto “modello d’agente”, il modello dell’ “homo eiusdem condicionis et professionis”, ossia il modello dell’uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che importa l’assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l’operatore si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta (Sez. 4A, 1/71992, n. 1345, massima; più di recente e sullo specifico argomento qui in esame, sempre Sez. 4A, 1/4/2010, n. 20047). Un tale modello impone, nel caso estremo in cui il garante si renda conto di non essere in grado d’incidere sul rischio, l’abbandono della funzione, previa adeguata segnalazione al datore di lavoro (sul punto, Sez. 4A n. 20047 cit.)” (Cass., Sez. 4A, n. 33311 del 24/5/2012, Rv. 255585).
Il rispetto delle norme prevenzionali ha lo scopo di prevenire e ridurre al minimo il rischio di incidenti che è fisiologico possano avere alla base l’errore dell’operatore, generato dalla reiterazione, dalle fisiologiche cadute d’attenzione nell’arco di tutto il tempo lavorativo ed anche, talvolta da vere e proprie distrazioni od imprudenze. Proprio al fine di scongiurare eventi nefasti evitabili rispettando standard di sicurezza collaudati determinati soggetti sono chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio infortunistico, senza che i primi possano pretendere esonero da responsabilità ove si accerti condotta inadeguata del lavoratore, salvo l’abnormità. Qualora tuttavia, l’infortunato si sia limitato a compiere un gesto istintivo (liberare il macchinario da un frammento di alluminio) del tutto coerente con le sue mansioni, non può essere invocata l’abnormità del comportamento dell’infortunato medesimo… In ogni caso, deve soggiungersi, non può assumere alcun apprezzabile rilievo penalistico la manovra o la condotta del lavoratore, pur, se del caso, scostatasi dal virtuale ideale, che in qualche misura abbia contribuito all’infortunio, trattandosi di circostanza tipica e fisiologica, correlata, come sopra detto, alla ripetizione del gesto, allo stress lavorativo e alle complessive condizioni psicofisiche del soggetto, rientrante nel rischio d’impresa e in quello prevenzionale, posto a base delle norme antinfortunistiche.
Una recentissima decisione di questa Corte ( n. 8883 del 10 febbraio 2016), richiamata dalla difesa nel corso della discussione orale, ha precisato come in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore. (In motivazione la Corte di cassazione ha precisato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori). In tale decisione si è comunque appunto sottolineato come fosse da ritenersi provato che il datore di lavoro avesse fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia.
FONTE: PUNTO SICURO