Il Tribunale di B. aveva dichiarato in primo grado responsabili del reato di cui all’ art. 590 commi 2 e 3 cod. pen. un datore di lavoro in quanto direttore tecnico dello stabilimento con delega specifica in materia di igiene e sicurezza sul lavoro e il Rspp in quanto avevano causato, per colpa, a un lavoratore dipendente lesioni personali gravi con conseguente incapacità di attendere alle ordinarie.
La colpa del datore di lavoro è consentita nella violazione degli artt. 28 comma 2 lettera b) e d) del TU 81/08, in quanto il documento di valutazione dei rischi non conteneva l’indicazione delle misure e procedure di prevenzione e di protezione concrete ed efficaci per le attività di carico e scarico dei cilindri di grosse dimensioni dalle macchine utensili per ogni turno lavorativo e non conteneva inoltre, l’indicazione delle misure idonee a ridurre al minimo i possibili rischi di investimento dei pesanti carichi sospesi, trattandosi di attività pericolosa comportante gravi rischi di investimento per gli operatori.
La sentenza della Cassazione Penale, Sez. 4, 13 gennaio 2016, n. 1036 rileva che “i giudici di merito hanno dato conto della insufficienza del divieto imposto ai dipendenti nel documento di valutazione dei rischi di guidare con le mani i carichi sospesi non accompagnato da alcuna indicazione in positivo sul come agire in quella situazione”. Ciò equivaleva, per i giudici, a segnalare il pericolo senza però spiegare come ci si dovesse comportare per evitarlo nell’eseguire la lavorazione”.
La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha anche sottolineato un altro elemento incompatibile…. la mancata presenza del datore di lavoro in cantiere che non avrebbe mai potuto sperimentare personalmente l’esistenza del problema di impercettibili oscillazioni” nelle strutture operative che avrebbero causato il danno oggetto di sentenza e di successivo ricorso.
Sulla nullità della sentenza di condanna la Cassazione ha deciso per “violazione di legge, in relazione all’art. 27 Cost., agli artt. 40, comma 2 e 43, cod. pen., e agli artt. 15, lett. b), 17 e 28 del TU 81/08 ma anche con riferimento dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per contraddittorietà della motivazione, in relazione all’estensione dell’obbligo impeditivo in capo al datore di lavoro delegante in tema di causalità omissiva e all’estensione delle disposizioni cautelari applicabili ai fini del rimprovero per colpa”.
Il datore di lavoro, inoltre, “nell’imporre uno specifico divieto a scopo antinfortunistico, senza fornire quindi istruzioni alternative, non poteva non avvedersi del fatto che veniva in sostanza devoluto agli stessi lavoratori (come era avvenuto nel fatto in questione) scegliere la maniera con cui ovviare alle problematiche connesse al lavoro da svolgere”. Infatti, i lavoratori, perché non erano stati messi loro a disposizione strumenti alternativi, avevano deciso di contravvenire a quel divieto.
“Ugualmente illogica sarebbe la motivazione laddove affermasse che la comprovata effettività della delega di funzioni al Rspp “ non inciderebbe in alcun modo sul percorso logico che porta all’affermazione della responsabilità del datore di lavoro.
Su quest’ultimo argomento la Corte ribadisce principi più volte espressi. “Il Rspp è un mero ausiliario del datore di lavoro privo di autonomi poteri decisionali e non è dunque destinatario degli obblighi dettati dalla legge in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle sanzioni, penali e amministrative, previste per la loro violazione. Ciò non esclude peraltro secondo il richiamato dictum la sua responsabilità penale per l’infortunio conseguito alla mancata adozione di una misura prevenzionale, qualora si accerti che lo stesso abbia indotto il datore di lavoro all’emissione, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale”.
FONTE: QUOTIDIANO SICUREZZA